Noi viviamo qua

Di Federica Predoni

“Ma sono proprio io quella lì che vedo nel video?” , ho chiesto a @jepis appena mi ha mandato alcuni frame del montaggio.

Perchè, si sa, la prima cosa che una donna nota di sé quando è riflessa in una qualsiasi immagine è il proprio aspetto. Da qui, il mio immediato domandarmi se la sveglia delle 5 di mattina di quella giornata di vendemmia e riprese video avesse lasciato un qualche segno sul volto.

Poi mi ascolto, mi guardo meglio, mi riguardo e sì, quella lì sono io.

Bella o brutta, viso stanco o no, sono io. E sono nell’unico posto in cui ho imparato a vivere serenamente negli ultimi anni. L’unico posto che, fin da quando ci conosciamo, Pasquale ed io abbiamo costruito insieme, vendemmia dopo vendemmia.

Ho iniziato a scrivere l’articolo del blog Appunti in cantina di gennaio dal mio appartamento di Bologna, l’ho riletto e modificato in treno e l’ho riletto e definito a Ischia.

Faccio fatica a dire “a casa”, perché quando ho scelto di lasciare tutta la mia vita di Bologna per trasferirmi a Ischia e seguire Pasquale ero consapevole che da quel momento sarei appartenuta a due posti con identità ben diverse tra loro.

“Da Bologna a Ischia?!?”, mi chiedono ancora alcune persone con lo sguardo stupito di chi si domanda se sia facile o no lasciare una città come Bologna per trasferirsi su un’isola. E la curiosità diventa stupore quando scoprono che il mio lavoro e la mia vita nella mia città non avevano mai avuto a che fare con il mondo del vino… se non per l’aperitivo il venerdì sera con le amiche!

Ringrazio, quindi, la tecnologia che mi aiuta a lavorare nei miei spostamenti tra le mie due case, fisiche ed emotive, e ringrazio l’intuizione di @jepis che ha voluto intervistare me proprio lì, nella cantina di vigna Kalimera che è a tutt’oggi la mia “casa e bottega”.

Tutta la tecnologia del mondo e tutta questa connessione virtuale non avrebbero senso se non si impara a rimanere connessi al proprio cuore e all’immagine di sé, ecco perché mi serve guardarmi con gli occhi di qualcun altro per capire il percorso che ho fatto negli ultimi dieci anni.

Tra i tanti progetti di vigna Kalimera c’era, fin dall’inizio,  quello di riuscire a realizzare qualcosa che mi facesse sentire parte dell’azienda e del territorio di quest’isola, qualcosa che mi piacesse fare veramente e non fosse una “consolazione” per la  mia scelta.

Da qualche anno, tra la primavera e l’inizio di vendemmia, gestisco le visite e le degustazioni a vigna Kalimera, consapevole del fatto che il turismo che scopre oggi Ischia è sicuramente più informato e consapevole, rispetto al passato, nella propria scelta di legare una vacanza anche e, soprattutto, ad un’esperienza emotiva.

Il mondo del vino ha il potere di regalare questo agli appassionati, che non devono necessariamente essere esperti o addetti ai lavori.

Accogliere persone di tutto il mondo diventa, perciò,  una responsabilità nel trasmettere loro una sana immagine di Ischia ma senza perdermi il divertimento di scoprire le diverse storie e vite delle persone che, per qualche ora, incrociano la mia storia e la mia vita. Ecco, allora, che tutto quello che ho imparato in dodici anni di lavoro aeroportuale, costantemente a contatto con il pubblico, mi torna utile.

Solo della stagione scorsa, ricordo una carrellata di volti e racconti di chi è passato di qua come, ad esempio, una famiglia di origini indiane che vive in New Jersey.

Tutti belli: bella la madre e il padre dei bellissimi bambini che hanno passato  ore con Giacomo scambiandosi parole di due lingue reciprocamente sconosciute, uniti nel linguaggio comune dei bambini di tutto il mondo, il gioco.

Ancora, ricordo un uomo alto, robusto, pelle d’ebano e capelli rasta che dalla Papua Nuova Guinea si incontra una volta all’anno per viaggiare insieme con amici, tutti provenienti da posti diversi, accomunati dalla ricerca del buon cibo e dell’amore per il vino, anche loro al nostro tavolo.

“Anche io faccio vino”, mi dice con il suo largo sorriso.

“Quali sono le vostre uve?” è la mia domanda più immediata, non ci posso fare nulla, mi viene spontanea.

“Faccio con la nostra frutta tropicale. La fermentazione è fermentazione, anche se non è uva!”.

Ha ragione anche lui.

E, ancora, la donna che, nata e cresciuta sempre nello stesso quartiere di un paesino dell’Inghilterra, oggi in pensione, dedica il suo tempo libero a ricostruire la storia di quel quartiere attraverso le testimonianze e i ricordi del vicinato. Un vero e proprio albero genealogico di strade, vicoli e delle famiglie che ci hanno vissuto.

Per non perdere il passato, per non dimenticare chi siamo e da dove veniamo.

Sono impressionata da quanto questo umano istinto di conservazione sia comune in ognuno di noi.

Penso sia tutto questo confronto e contatto umano che mi ha aiutato, nel tempo, ad imparare a vivere bene in due posti così diversi come la mia città natale e questa isola, piena di contrasti, con le sue chiusure e ristrettezze per chi ci mette piede da fuori, è vero, ma ricca di bellezza, storia, genuinità e cuore.

Penso, anche, che continuare a sforzarsi di fare bene ciò che facciamo, così come siamo e con il nostro bagaglio di provenienza, sia l’unico strumento possibile per lasciare l’impronta del nostro fare nel posto in cui viviamo. Non importa per quanto.

Se mi si chiede, quindi, se attraverso vigna Kalimera, ho realizzato uno dei tanti progetti che le appartengono, la risposta è sì. Con la voglia di realizzarne tutti gli altri.

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